E’ detto che le persone di prima classe non fanno errori, le persone di seconda classe, i comuni mortali, invece possono fare errori. Io non ho certamente il dovere di fare errori ma certamente è inevitabile che li faccia, quindi ho la possibilità di fare errori e ne ho anche il diritto.

Il diritto di sbagliare è un aspetto fondamentale dell’essere umano ed è essenziale per l’apprendimento, la crescita e il progresso.

E’ vero che è gratificante fare le cose bene, ma è anche vero che c’è una sensazione liberatoria nel pensare che non posso essere sempre perfetto, che anch’io posso fare errori, che da me non è richiesta la perfezione, e che non è la fine del mondo se sbaglio, sono umano, sono un’anima condizionata.

E tutto questo implica un senso di onestà e l’ammissione, non sempre facile da fare, ma che almeno dovremmo fare a noi stessi: “Ho sbagliato.”

Ma se ogni volta che faccio un errore, io essere imperfetto, lo giustifico, lo nego, o incolpo altri dei miei errori e penso di essere sempre nel giusto, di fare sempre bene e di avere sempre ragione, sto perdendo uno dei miei diritti fondamentali: quello di imparare dai miei inevitabili errori. Non solo, la storia ci insegna che divento anche vittima di un orgoglio smisurato che porterà me e gli altri al disastro.

Gli errori sono spesso il modo più efficace per imparare. Quando sbagliamo qualcosa, abbiamo l’opportunità di capirne il motivo e di correggerci. Superare gli errori e le sconfitte ci fa sviluppare determinazione, e una comprensione più profonda di noi stessi e del mondo che ci circonda.

Molte invenzioni sono nate attraverso numerosi tentativi ed errori, pensiamo a Edison. Aveva tentato per anni di mettere a punto una lampadina e dopo centinaia e centinaia di tentativi falliti, invece di scoraggiarsi, ogni volta che falliva con grande ottimismo diceva: “Sono sempre più vicino al traguardo.” E poi finalmente dall’alto è stato soddisfatto il suo desiderio e gli è apparsa la soluzione.

La perfezione a breve termine è un’aspettativa poco realistica, e pensare di essere perfetti non ci aiuta a migliorare; invece accettare che gli errori facciano parte della nostra vita ci aiuta ad essere comprensivi con noi stessi, a non essere orgogliosi, a migliorare, a farci aiutare dagli altri e ad essere comprensivi verso i nostri errori e quelli degli altri.

In altre parole sono un’anima condizionata, ho il pieno diritto di commettere errori, il commettere errori è parte integrante della vita e dell’apprendimento. Ma dovrei cercare di correggermi e accogliere gli errori come dei segnali che Krishna mi manda per farmi capire che devo cambiare direzione, vedere gli errori come delle opportunità di crescita, ma anche cercare di fare meno errori ed essere anche consapevoli delle potenziali conseguenze delle nostre azioni. Così come è vero che ho il diritto di sbagliare, ho anche il dovere di correggermi.

Srila Prabhupada ha detto che “sbagliare è umano, correggersi è divino, ma continuare a sbagliare è demoniaco.”

Quindi è importante distinguere tra il diritto di sbagliare e le conseguenze degli errori. Anche se posso permettermi il diritto di sbagliare, sono comunque responsabile delle conseguenze dei miei errori.

La Bhagavad gita ci dice che la gente segue l’esempio di un grande uomo, tutti seguono il modello che egli rappresenta.

Ma anche quello che fa un piccolo uomo, o una piccola donna, ha un impatto sugli altri. Da qui l’importanza di essere un modello, seppur imperfetto, di una persona che almeno cerca di fare meno errori e cerca di correggersi. E non essere invece quella persona che “non sbaglia mai”, che deve avere sempre ragione e che non ha più la possibilità di fare errori e di farsi aiutare.

La vita spirituale non è stagnante, è fatta anche di errori, di tentativi, di continue correzioni di rotta e di continuo miglioramento. Questo si chiama avanzamento spirituale. Ed è questa dedizione al miglioramento continuo che fa la differenza tra religione e vita spirituale. Ed è questo che ci rende cari a Krishna che vede certamente i nostri errori, ma soprattutto vede il nostro desiderio di migliorare e di essere sempre più vicini a lui.

Scrive meravigliosamente Srila Prabhupada che Dio, la Persona Suprema, è conosciuto come bhāva-grāhī janārdana perché coglie solo l’essenza dell’atteggiamento devozionale di un devoto. Se un devoto si abbandona sinceramente a Lui, il Signore, in quanto Anima Suprema nel cuore di ogni essere, lo comprende immediatamente. Così, anche se esteriormente un devoto non rende un servizio completo, se interiormente è sincero e serio, il Signore accoglie comunque il suo servizio. Perciò il Signore è conosciuto come bhāva-grāhī janārdana perché coglie l’essenza della mentalità devozionale di un individuo. (SB 8.23.2 spiegazione)

Gopinath Prema das