La fase finale della relazione tra Vali e Sugriva, due personaggi importanti del Ramayana, ci può dare delle importanti lezioni etiche. Una delle struggenti storie parallele del Ramayana è quella del confronto fratricida tra le scimmie Vali e Sugriva. Nel Mahabharata, l’animosità tra i virtuosi Pandava e i malvagi Kaurava continua fino alla morte dei Kaurava. Al contrario, il Ramayana ci offre una riconciliazione tra questi due fratelli che avviene in punto di morte. E questo coinvolge emotivamente, è etico e illuminante.

Nella tradizione, le attività trascendentali del Signore e dei Suoi devoti sono celebrati e amati specialmente per la loro potenza spirituale, ascoltarli evoca in noi delle emozioni divine, purifica il nostro cuore dagli attaccamenti materiali e reindirizza i nostri desideri verso il Signore Supremo. Inoltre, la tradizione a volte vede in queste narrazioni (lila) dei modelli etici che possono aiutarci a condurre una vita più armoniosa qui, durante il nostro soggiorno in questo mondo mentre ci purifichiamo praticando la via della bhakti. Nel Ramayana, Lakshmana e Bharata ispirano all’altruismo fraterno e Sita è vista come la consorte ideale. In questo articolo mi concentrerò sull’importanza etica della relazione tra Vali e Sugriva.

I grandi fratelli

La storia di questi due fratelli si svolge a Kishkinda, il regno dei Vanara, nell’India meridionale. I Vanara erano una razza di scimmie celesti che possedevano una forza e un’intelligenza formidabile, e alcuni dei loro capi erano molto più saggi delle altre scimmie. La posizione di Kishkinda era geopoliticamente significativa, essendo situata strategicamente tra il regno degli umani, a nord, e il regno dei demoni, a sud. Durante l’infanzia e la giovinezza, Vali e Sugriva erano inseparabili. Come i Pandava, avevano entrambi due guide: una terrestre e una celeste. Il loro padre terreno era Riksharaja, il re dei Vanara. E i loro padri celesti erano rispettivamente Indra e Surya, due dei più potenti dei. Proprio come Indra era più elevato nella gerarchia cosmica rispetto a  Surya, Vali, essendo più anziano e più forte, era superiore rispetto a Sugriva; e proprio come il carattere di Indra subiva gli attacchi dell’arroganza e dell’impetuosità, così era anche per Vali.

Proprio come i due dei agivano armoniosamente nell’amministrazione cosmica, così i loro due figli agivano armoniosamente nell’amministrazione del regno delle scimmie. Quando Riksharaja si ritirò, Vali salì al trono di Kishkinda secondo la tradizione della primogenitura e Sugriva diventò il suo fedele e intraprendente assistente.

Un giorno un terribile demone di nome Mayavi arrivò a Kishkinda e sfidò Vali al combattimento. Il re dei Vanara si alzò dal trono e uscì, seguito da vicino da Sugriva. Se doveva esserci un combattimento, Vali intendeva impegnarsi lealmente, uno contro uno, ma Sugriva per maggior sicurezza lo accompagnò nel caso in cui il demone avesse avuto dei complici che subdolamente cercassero di attaccarlo. Non capendo le nobili intenzioni dei due fratelli, Mayavi si ritrasse impaurito non appena vide quella potentissima coppia di fratelli che avanzava verso di lui. Rendendosi conto che non poteva competere con la loro potenza, si voltò e fuggì via. Vali, capendo che il demone avrebbe distrutto la pace nel regno se non gli fosse stata impartita una bella lezione, decise di inseguirlo, e Sugriva lo seguì.

Mayavi, cercando disperatamente di liberarsi dei due fratelli si rifugiò in una grotta di montagna che conduceva a un labirinto di catacombe. Vali decise di inseguirlo nelle tenebre della caverna e disse a Sugriva di sorvegliare l’ingresso per evitare che il demone Vali potesse scappare. Sugriva implorò Vali di farlo partecipare alla pericolosa ricerca sotterranea, ma Vali rifiutò e invece gli ripeté di nuovo le sue istruzioni. Dopo che suo fratello svanì nell’oscurità, Sugriva attese a lungo, scrutò nella caverna a perdita d’occhio. Non vide nulla e non sentì nulla fino a quando finalmente risuonò il grido del demone. Era un grido di dolore o di vittoria? Sugriva attese, sperando di sentire la voce di suo fratello, ma la caverna rimase totalmente silenziosa. Quando quel silenzio totale continuò, il cuore di Sugriva ebbe un tonfo quando pensò che il suo eroico fratello fosse stato ucciso.

Sugriva si sentì combattuto tra il desiderio di vendicare la morte di suo fratello e il suo dovere di proteggere il regno dal demone. Se Mayavi fosse uscito dalla caverna, nessuno avrebbe potuto fermarlo. Sugriva rifletté: sarebbe stato in grado di uccidere un nemico che aveva già ucciso il suo più potente fratello? Sugriva elaborò una strategia. Si guardò intorno finché vide un gigantesco masso. Con molti sforzi, sudando e ansimando, spostò quel masso fino a chiudere la grotta. Sentendosi rassicurato dal fatto che questo avrebbe tenuto a bada il demone, Sugriva tornò nel regno. Con il cuore gonfio, informò tristemente dei fatti la corte, dove tutti erano in attesa del loro valoroso monarca e indisse un periodo di lutto in tutto il regno. Dopo la fine del periodo di lutto, i ministri chiesero a Sugriva di assumere il ruolo di re, sottolineando l’assenza di qualsiasi altro qualificato erede. Ancora afflitto dal ricordo di Vali, Sugriva decise di portare avanti l’eredità di suo fratello e accettò l’investitura reale.

Da inseparabile a inconciliabile

Era successo che dopo una lunga ricerca nella grotta, Vali aveva trovato il demone. Intenzionato a porre fine alla sua fastidiosa minaccia, Vali non aveva perso tempo e ruggendo di collera aveva ucciso il demone urlante. Quando tornò all’ingresso della grotta, rimase sorpreso nel trovare un enorme masso che la bloccava. Chiamò Sugriva, ma non ottenne risposta. Esausto per la ricerca e la lotta, non riuscì a muovere il masso. L’assenza di Sugriva e la presenza del masso scatenarono in lui un sospetto sconcertante: il suo fidato fratello aveva forse concepito un piano per rinchiuderlo nella caverna?

Vali ebbe bisogno di diversi giorni per riguadagnare le proprie forze e elaborare un piano per spostare il masso. Più si sforzava e più cresceva il sospetto. Sicuramente il masso era troppo grande per essere stato portato da un uragano o da altre forze naturali. E anche se in qualche modo si fosse spostato in modo naturale, sicuramente non avrebbe potuto chiudere la caverna in un modo così preciso.

Quando Vali infine riuscì ad uscire, corse fino al suo regno, pieno di dubbi riguardo suo fratello. Vali entrò nel palazzo, gli occhi iniettati di sangue. Quando vide Sugriva seduto sul trono, sentì confermato il suo sospetto. Infuriato, si avventò su Sugriva, la cui gioia nel vedere Vali vivo lasciò rapidamente il posto allo sgomento. Sugriva cercò di spiegare la situazione, ma Vali era troppo furioso per sentire ragioni e colpì Sugriva con i suoi pugni possenti. Sugriva fu devastato nel vedere del disprezzo negli occhi del suo amato fratello. Il pensiero che suo fratello non solo avesse sospettato di lui, ma che lo avesse anche condannato, fece più male a Sugriva dei colpi che piovevano su di lui. Non avendo la forza di reagire e sperando di poter avere una migliore possibilità di chiarire le cose in seguito, quando Vali si fosse calmato, Sugriva fuggì dal palazzo e dal regno.

Vedere Sugriva fuggire rafforzò la convinzione di Vali che suo fratello era colpevole. Avendolo giudicato un traditore, la mente egocentrica di Vali lo spinse a inseguire e perseguitare suo fratello anche in esilio, per paura che potesse provocare un complotto.

L’infelice Sugriva fuggì in lungo e in largo, ma Vali lo inseguì senza sosta. Alla fine Sugriva trovò rifugio proprio a Kishkinda, nella zona di un lago chiamato Pampa, vicino all’eremo del saggio Matanga. Una volta, per mostrare la sua forza e inebriato dal potere, Vali aveva scagliato lontano il corpo di Dundubhi, un demone che aveva ucciso. Il suo sangue era caduto nell’arena sacrificale di Matanga, dissacrandola. Il saggio incollerito e desideroso di diminuire l’arroganza di Vali, maledisse la scimmia a morire se fosse mai entrata nelle vicinanze dell’eremo.

Nel rifugio sicuro creato dalla maledizione di Matanga, Sugriva viveva in una pace piuttosto inquieta, sempre impaurito degli eventuali assassini che Vali poteva inviare. Poiché l’ostilità di Vali non diminuiva, Sugriva perse gradualmente ogni speranza di riconciliazione. I due fratelli inseparabili ora erano diventati i due fratelli inconciliabili.

Errore di attribuzione

Sia Sugriva che Vali erano giunti a conclusioni errate: Sugriva sulla morte di Vali e Vali sul tradimento di Sugriva. Se consideriamo le informazioni a loro disposizione, entrambi hanno compito delle deduzioni ragionevoli. La differenza era che Sugriva non aveva avuto la possibilità di assicurarsi se aveva ragione o no: la probabilità che Mayavi uscisse era troppo rischiosa. Ma Vali ebbe molte più opportunità di controllare se i suoi dubbi erano fondati. Essendo più forte, avrebbe potuto permettersi di ascoltare Sugriva. Inoltre, Sugriva non era un demone, ma era il suo nobile fratello, un fratello che lo aveva servito fedelmente come braccio destro per molti anni. Sugriva, a causa sia della sua relazione che della sua esperienza, meritava di più, prima di essere giudicato. Sfortunatamente, Vali era troppo sicuro della sua versione dei fatti e non sentì il bisogno di chiedere alcun chiarimento.

Vali aveva ceduto a un errore umano molto comune che gli psicologi chiamano ‘errore di attribuzione’. Quando vediamo gli altri comportarsi in modo inappropriato, tendiamo ad attribuire quel comportamento a difetti del carattere, non a circostanze esterne. Quindi, quando vediamo gli altri mangiare troppo, li giudichiamo come dei ghiottoni. Ma quando noi stessi mangiamo troppo, tendiamo ad essere molto più indulgenti nei nostri confronti: “Non mangiavo da così tanto tempo.”

Cediamo agli errori di attribuzione a causa di una pericolosa combinazione di fretta e di fiducia eccessiva in noi stessi. Di fronte a qualcosa di imprevisto, vogliamo capire subito le cose; e una volta ‘compresa’ la soluzione, pensiamo con convinzione: “Sono così intelligente, come posso sbagliarmi?”

Ma se siamo veramente intelligenti, prenderemo in considerazione la possibilità che potremmo sbagliarci. Dopo tutto, i modi in cui le cose accadono nel mondo sono complesse. E ancora più complessi sono i modi in cui pensano le persone. Quindi determinare cosa li fa comportare in certi particolari modi non è facile. Ma quando sappiamo solo qualcosa sugli altri, presumiamo di saperne abbastanza per poter capire il loro comportamento, questa è una presunzione che spesso ci rende ciechi ai nostri pregiudizi e ai nostri errori. Invece di cadere vittima di questa presunzione e arrivare a giudizi improvvisi, potremmo utilizzare bene la nostra intelligenza dandoci il beneficio del dubbio e ascoltando con il cuore aperto la loro versione dei fatti.

A causa della sua frettolosità e di un eccessiva fiducia in se stesso, Vali aveva giudicato Sugriva senza capire. Una ricetta infallibile per rovinare le relazioni. E naturalmente la loro relazione presto si rovinò.

L’intervento di Rama

Passano gli anni: Rama entra in scena e stringe un’alleanza con Sugriva. Come parte del loro patto, promette di sistemare i torti che Vali aveva fatto a Sugriva. Su richiesta di Rama, Sugriva sfida Vali al combattimento. E mentre i due fratelli stanno combattendo, Rama, dopo un iniziale tentativo di pacificazione lancia una freccia mortale a Vali.

Potremmo mettere in dubbio la moralità dell’azione di Rama, così come fece lo stesso Vali steso a terra, ferito a morte. In risposta, Rama diede varie ragioni centrate sul fatto che un aggressore deve essere ucciso con qualsiasi mezzo. Vali aveva commesso molteplici atti di aggressione contro suo fratello: lo aveva attaccato con intenzioni omicide, lo aveva spogliato di tutte le sue ricchezza e aveva  persino preso la moglie di Sugriva, Ruma, come sua moglie. Per un fratello maggiore impadronirsi della moglie del fratello minore era un peccato grave, quasi simile all’incesto. A causa di questa ingiustificata aggressione, Rama dichiarò che Vali non meritava altro che la pena capitale.

L’analisi di questo ragionamento potrebbe essere oggetto di un articolo a sé stante. Per la nostra comprensione attuale, ci dovrebbe bastare sapere che Vali ritenne convincente il ragionamento di Rama. Se durante un processo l’imputato comprende la sua situazione e ammette che non è stata fatta alcuna ingiustizia nei suoi confronti, anche noi dovremmo accettare tale affermazione, dopo tutto, l’imputato ne sa più di noi.

Dopo aver presentato il suo caso, Rama rinvia a giudizio Vali: “Se pensi che io abbia agito in modo sbagliato, ritirerò subito la freccia e ti ridarò la tua vita e la tua forza.”
Vali, la sua arroganza distrutta doppiamente dalla freccia di Rama che gli aveva trafitto il petto e dalle parole di Rama simili a frecce che trafissero le sue presunzioni, meditò sulle sue azioni e riconobbe la loro iniquità. Rispose umilmente che, nonostante i suoi molti misfatti, era stato benedetto per avere l’opportunità impagabile di poter morire nella presenza di Rama; un’opportunità di così grande buon augurio che non voleva perdere solo per avere una vita più lunga. Confessò inoltre che per molto tempo anche lui aveva sentito di aver fatto un torto a Sugriva, ma il suo orgoglio non gli aveva permesso di considerare questi suoi sentimenti.

Riconciliazione in punto di morte

Nei suoi ultimi respiri, Vali consolò la sua singhiozzante moglie, Tara, e suo figlio Angada. Chiese loro di non provare rancore verso Sugriva, ma di vivere pacificamente sotto la sua protezione. Poi si voltò verso Sugriva, chiedendogli di non portare rancore nei confronti di Tara e Angada, ma di prendersi cura di loro.

Pentito e per cercare di farsi perdonare da suo fratello, Vali prese la preziosa collana che Indra gli aveva regalato. Quella collana celeste aveva il potere di proteggere la vita di chiunque la portasse. In effetti, era proprio questa collana che aveva tenuto in vita Vali anche dopo essere stato ferito a morte dalla freccia di Rama. Quale padre non vorrebbe concedere una tale protezione a suo figlio? Proprio come Indra aveva donato la collana a suo figlio Vali, sarebbe stato del tutto giustificato se lui  l’avesse donata a suo figlio. Ma invece la diede a Sugriva, esprimendo così con le sue azioni quel profondo rimorso che non aveva  l’energia o il tempo di esprimere a parole. Non appena la collana uscì dalla mano di Vali, la sua anima uscì dal suo corpo.

Dopo aver sentito le parole strazianti di suo fratello e averlo visto li, immobile e silenzioso, Sugriva rimase sconvolto. Era suo fratello maggiore, che aveva conosciuto e amato e che gli era mancato per così tanto tempo; e che ora gli sarebbe mancato per sempre. Sugriva fu sopraffatto dal rimorso per aver istigato l’uccisione di un così grande fratello e decise di espiare il suo peccato di fratricidio ponendo fine alla sua vita insieme a quella di suo fratello.

Rama e Lakshmana consolarono Sugriva con parole gentili, ricordandogli il suo dovere verso la sua famiglia e i suoi cittadini. Sugriva si riprese, ordinò alle scimmie in lutto di compiere i riti funebri degni del loro re defunto, e iniziò un secondo periodo di lutto per suo fratello.

I tre passi verso la riconciliazione

La storia di Sugriva e di Vali va oltre i confini semplicistici del bene contro il male. Entrambi i fratelli erano virtuosi, ma rovinarono la loro vita per uno sfortunato errore di valutazione da parte del fratello più potente e più impetuoso. Quella che avrebbe potuto essere una felice storia di affetto fraterno è diventata, a causa di un malinteso non chiarito, una triste storia di animosità che si è conclusa in uno straziante fratricidio. Per fortuna, la loro infelicità fu mitigata dall’intervento di Rama, che li portò a riconciliarsi prima della morte.

Anche noi possiamo migliorare le nostre relazioni facendo nostra la lezione di questa storia: non giudicare mai senza prima cercare di capire. E se abbiamo già giudicato gli altri senza capirli, possiamo cercare la riconciliazione, come ha fatto Vali. Possiamo percorrere la strada della riconciliazione grazie a tre termini: Riconoscere – Scusarsi – Correggere.

  1. Riconoscere: se le nostre relazioni si sono inasprite, possiamo essere onestamente introspettivi e ascoltare umilmente gli altri per verificare se eravamo più dalla parte dell’errore di quanto credessimo. Se capiamo il nostro errore, dobbiamo riconoscerlo, come ha fatto Vali dopo aver ascoltato Rama.
  2. Chiedere scusa: proprio come le parole arroganti e che giudicano possono ferire gli altri, le umili parole fatte per fare un passo verso gli altri possono guarire. Scusandoci possiamo fare dei grandi passi avanti per ricostruire delle relazioni, proprio come ha fatto Vali per i torti che aveva commesso, consapevolmente o inconsapevolmente.
  3. Correggere: le azioni parlano più delle parole, proprio come Vali  ha dato la sua collana a Sugriva, noi possiamo fare tutto il possibile per correggere, o almeno mitigare, le conseguenze dei nostri giudizi errati.

A Vali ha dovuto presentarsi la morte per fargli mettere da parte il suo orgoglio e correggere il suo errore di valutazione. Se meditiamo sulla sua storia e impariamo da essa, possiamo migliorare molto, prima che ci si presenti una situazione così estrema.

Chaitanya Charana Das (dal sito web Radha Name)