Qualche giorno fa mentre ero nel tempio, ho notato il libro “Vrindavan Memories” e ne ho letto alcune storie. E’ un libro composto di ricordi personali e riguarda il periodo in cui si stava costruendo il Krishna Balaram Mandir. Di solito le nostre memorie sono centrate su Srila Prabhupada, su quello che ha fatto, dove è andato, quello che ha detto ecc., ma questo libro ci racconta di storie di devoti, parla di Vrindavana e ci fornisce una visione fuori del comune dei primi tempi del nostro movimento.

Prendiamo per esempio la storia di Surabhi Prabhu, l’architetto del Krishna Balarama Mandir. Per prima cosa gli era stato richiesto di progettare il tempio di Bombay, ma i lavori di costruzione non potevano essere iniziati a causa di un caso giudiziario contro il proprietario della terra che voleva imbrogliare l’ISKCON  e riprendersi la terra. Essendo rimasto senza impegni, Surabhi era stato mandato a Vrindavana per occuparsi del progetto del tempio di Krishna Balaram.

Quando lui e il suo gruppo di devoti arrivò a Vrindavana non sapevano ancora dove avrebbero alloggiato, così per prima cosa decisero di fare un bagno nella Yamuna, insomma, per purificarsi prima di conoscere la vera e propria Vrindavana. Così andarono al fiume, si misero i gamcha e iniziarono a fare il bagno. Proprio in quel momento un indiano che stava faceva il bagno li vicino, in altre parole un Vrajabasi, venne portato via dalla corrente e stava per annegare. Ci fu un grande scompiglio e i devoti si tuffarono nel fiume per cercare di salvarlo, ma la corrente lo aveva trascinato sott’acqua e non riuscirono più a trovarlo. Era annegato, e il suo corpo non è più stato ritrovato.

Il fiume sacro Yamuna

Provate a pensarci: andate a Vrindavana per la prima volta, sapete che è una terra santa e che non è diversa dal mondo spirituale, e la prima cosa che vedete è il fiume sacro Yamuna che uccide un uomo davanti ai vostri occhi. Come avreste reagito? La trattate come si tratta una persona e quindi la considerereste responsabile? O pensereste che si tratta solo di un fiume, solo una massa d’acqua che scorre per legge di gravità? Cosa è successo? Quale messaggio di benvenuto vi sta dando Vrindavana?

Non sapevo cosa pensare. Era stata una decisione spirituale fatta da personalità trascendentali e il messaggio era che “la vita”, così come la conosciamo noi, non significa nulla qui, e può essere legittimamente portata via in qualsiasi momento e senza preavviso? O lo fate passare per un incidente, una specie di disastro naturale senza nessun responsabile?

La seconda storia è raccontata da Gunarnava Prabhu, è un nome che non credo di aver mai sentito prima, e in realtà sono due le storie. Gunarnava faceva parte di un gruppo di devoti che erano atterrati a Delhi, poi dovevano andare alla stazione ferroviaria per recarsi a Vrindavana. Così saliti sull’aereo iniziarono il viaggio nel mondo “civile”, anche se indiano. Atterrarono a Delhi, in un aeroporto internazionale semi-civilizzato, ma la loro successiva tappa era la stazione ferroviaria di Delhi e non avevano mai visto niente di simile. L’ambiente, i suoni e gli odori delle stazioni indiane sono sconvolgenti. Non avevano mai visto prima così tante persone che nello stesso luogo facevano così tante cose diverse tra di loro, e tutte apparentemente caotiche. “Intensità” è una parola per descrivere la cosa. Urla e ancora urla dappertutto, tutti erano vestiti in tanti colori ma allo stesso tempo la sporcizia era ovunque. C’era odore di treni, di gasolio, di fumo di scappamento, di cibo, di spezie, di sudore e urina.

Va bene. Vanno alla biglietteria e pensano che siccome il viaggio sarebbe durato solo un paio d’ore, avrebbero potuto accontentarsi di una carrozza di terza classe. Non sapevano che in realtà due ore significa quattro o più ore, e che carrozza di terza classe significa che molti molti passeggeri devono stare in piedi, e che i “passeggeri” includono polli, capre e persino mucche.

Da Mathura prendono l’ultimo autobus per Vrindavana e arrivano ​​quando è già buio. Se vedete Vrindavana di notte, è una città praticamente morta. Tutte le porte sono chiuse e non c’è anima viva per le strade, nemmeno degli animali. Fortunatamente per loro, un uomo individuò quel gruppo di occidentali dall’aria persa e si offrì di portarli nel vicino ashram della Ramakrishna Mission.

Sapete che le nostre Scritture descrivono il Sole come un occhio del Signore? Loro lo compresero veramente la mattina dopo, quando ebbero la possibilità di vedere dove si trovavano. Il Sole apre letteralmente la nostra visione del mondo che ci circonda, e loro videro quello che li circondava con gli occhi di stanchi pellegrini.

Con un risciò arrivarono al tempio di Radha Damodara, dove in quel periodo si trovavano i devoti dell’ISKCON e così attraversarono un labirinto di strade strette con le fogne a cielo aperto su entrambi i lati e dove il tutto sembrava decisamente medioevale. La domanda “Ma dove siamo?” Era nella mente di tutti. Benvenuti a Vrindavana.

Dopo qualche tempo, Srila Prabhupada inviò loro una lettera per chiedergli di trasferirsi nella terra che era stata appena donata alla ISKCON e che si trovava a Ramana Reti, dove ora si trova il nostro tempio. A quel tempo (il 1972) Ramana Reti era alla periferia di Vrindavana, e non c’era niente, era solo una terra incolta.

Si trasferirono li, presero alcune capanne, e questo fu tutto. Non c’era acqua corrente, né servizi igienici, né impianti idraulici o strutture di alcun tipo, ma riuscirono ad avere la corrente elettrica dalla strada principale. A quel tempo era già estate e le estati a Vrindavana sono insopportabilmente calde. Durante il giorno la temperatura va regolarmente vicino ai quaranta, ovvero più di dieci gradi rispetto alla temperatura del corpo umano. Mi viene in mente che sarebbe il luogo adatto per fare una battuta utilizzando il sistema di misurazione in gradi Fahrenheit, e 108 gradi Fahrenheit sono circa 42 gradi centigradi. Insomma con quel sistema hanno fatto almeno qualcosa di giusto.

Per liberarsi dal caldo, e per praticamente sopravvivere al calore, i devoti immergevano i gamcha e i chadar nell’acqua, si sdraiavano e si coprivano con i vestiti bagnati, e quando diventavano asciutti, li sciaquavano di nuovo e poi ripetevano l’operazione. Il momento culminante della loro giornata era quando uno di loro andava in bicicletta al Loi Bazar per comprare un blocco di ghiaccio da un ice-walla, lo portava indietro e lo trasformava in una bevanda fresca. Questo una volta al giorno. All’epoca non c’erano ancora i frigoriferi e un bicchiere di bibita fresca al giorno era tutto quello che avevano a disposizione in quel calore trascendentalmente insopportabile di 108 gradi.

Tra di loro c’era un devoto di nome Vyala, un brahmachari pakka, molto ordinato e molto organizzato. Un giorno venne il suo turno di andare al Loi Bazar. I devoti avevano preso anche un’anguria e decisero di aspettare il ghiaccio così poi avrebbero preso l’anguria con una bella bevanda rinfrescante. Ma Vyala non era in orario. Stanchi di aspettare decisero di prendere l’anguria e lasciarono la fetta di Vyala su un piatto all’interno della capanna. A quel punto una mucca che gironzolava da quelle parti, se ne si trovano dappertutto a Vrindavana, sentì il succulento profumo dell’anguria, la vide nella capanna e andò dritta dritta per prenderla. I devoti cercarono di fermarla, ma niente può ostacolare una mucca affamata. Tranne le porte troppo piccole. Attraversò la stanza esterna, ma si incastrò dentro la porta più interna. La sua pancia era troppo grossa per riuscire a passare. Fortunatamente per lei, riuscì comunque a raggiungere l’anguria e iniziò a mangiarla. Siccome era rimasta bloccata nella porta, i devoti non riuscirono ad entrare nella stanza e a salvare la fetta di anguria e non rimase loro altro da fare che rimanere impotenti e sentire la mucca che si godeva il suo cibo. Quando finì di mangiare, cercò di uscire dalla porta, ma le mucche non sono molto brave a camminare all’indietro, così provò a girarsi, c’erano tre o quattro devoti nella stanza e tutti iniziarono a spingerla e a tirarla. La mucca andò in panico e pensò di essersi intrappolata, ma riuscì a liberarsi, e questa volta si ritrovò con la parte posteriore nella capanna e fece cadere un enorme mucchio di sterco di mucca fumante proprio sul piatto dove prima si trovava la fetta di anguria di Vyala.

Quando poi riuscirono a far uscire la mucca, Vyala finalmente tornò. La bicicletta si era sgonfiata e Vyala aveva dovuto ripararla sulla strada e c’era voluto molto tempo. Era accaldato, sudato e molto irritato. Imprecava contro la bicicletta, la foratura, contro tutto, ma soprattutto contro il caldo. Con sua grande delusione, il blocco di ghiaccio si era sciolto completamente, così la bevanda fresca non era più nel menu. Poi Vyala chiese speranzoso: “Dov’è la mia anguria?”.  “Beh…in effetti…” Vyala entrò nella capanna e si rese conto che non solo era stato delle ore sotto il sole ardente per nulla, niente ghiaccio e niente bevanda fresca, ma che addirittura per prasadam gli era toccato letteralmente un mucchio di sterco di mucca. Si voltò e disse: “Ne ho abbastanza” e poco dopo lasciò Vrindavana.

Quando mi viene in mente questa storia non posso fare a meno di piegarmi dalle risate, è una commedia perfetta, ma in essa c’è una lezione molto importante per noi. Abbandonare tutto a Krishna significa abbandonare tutto. Non c’è assolutamente nulla che Krishna ci consente di trattenere. Nulla. Non possiamo chiedere acqua, cibo, temperatura tollerabile, non possiamo esigere nulla.

Quando ci avviciniamo a Krishna possiamo aspettarci delle prove severe. Possiamo rimproverare quel devoto, Vyala, per non essere stato abbastanza paziente e tollerante, ma gli è stata data una prova alla quale nessuno di noi è ancora pronto. Non c’è l’ha fatta, ma non siamo nemmeno al suo livello. Dal suo esempio possiamo solo pensare quello che ci verrà chiesto quando arriverà il momento. In alternativa, invece di immaginare tutte le possibili cose che dovremo tollerare o rinunciare, possiamo concentrarci sul canto del Santo Nome e poi liberarci di tutto il resto.

Nella nostra vita cerchiamo di orientarci tenendo conto di ogni situazione. “Come devo reagire di fronte a questo fatto? Cosa fare quando mi succede questo? Che risposta dovrei dare? Cosa ne pensi? E’ giusto pensare in questo modo?” La nostra vera posizione, tuttavia, dovrebbe essere relativa solo a Krishna e al Santo Nome. Una volta che vediamo questa connessione, le nostra posizione riguardo a tutti gli altri fenomeni sarà automaticamente chiara. Non dovremo pensare o porci tante domande a riguardo. Se solo cerchiamo di sviluppare la coscienza di Krishna, tutto il resto si metterà naturalmente a posto senza ulteriori sforzi.

Forse è per questo motivo che non desidero più andare a Vrindavana. E’ come se avessi visto tutto quello che c’è da vedere. Ovvero ho visto tutto quello che mi è dato di vedere con i miei occhi, e se continuo a guardare, nel senso di continuare a coinvolgere i miei sensi nella mia attuale mentalità materialistica, commetterò delle nama-aparadha. Mi ci vogliono dei nuovi occhi.

Ovviamente non si tratta solo di occhi: gli occhi sono solo parte dei sensi, la percezione principale avviene nella mente. E’ l’intelligenza che cataloga le esperienze dalla vasta biblioteca di dati, di luoghi, interpretazioni e impressioni, e quindi l’ego decide quale tipo di esperienze vuole provare in futuro.

Sento il bisogno di purificare l’intero specchio nel cuore, quello che riflette la realtà della mia percezione prima di osare dare un’altro sguardo a Vrindavana. La cosa interessante è che una volta che questo specchio viene purificato, Vrindavana può essere vista ovunque e nella sua piena gloria trascendentale.

Un altro aspetto da considerare è che Vrindavana non è una città, e nemmeno un villaggio. Vrindavana è una foresta e Krishna vive a Vraja, che è un luogo speciale che deve essere descritto separatamente. Questa Vraja o Vrindavana non ha elettricità, aria condizionata, bevande fresche, frigoriferi, condomini, automobili, riksha, o Internet. Non ci sono rupie nel vostro portafoglio. Se mi interesso di queste cose, non sono a Vrindavana, e queste sono le cose che Krishna vuole che noi abbandoniamo completamente. Ci sarà anche un test quindi mi preparerò meglio. Prima impariamo a recitare il Santo Nome senza offese, creiamo la nostra coscienza di Krishna, e poi Vrindavana ci apparirà insieme con Krishna. Essi sono inseparabili, non si può vedere l’uno senza vedere l’altro.

(dal blog Back2krishna.com)